Verso l'interno, verso Attikeoi (sperando si scriva così!)
Ciao,
Rieccomi a rompere ...
La destinazione, non lontana da Abidjan, è un'area dove un nostro conoscente locale vorrebbe impiantare una piccola struttura di ittiocoltura. La strada, prima asfaltata poi pista in terra, non è proprio il massimo, anzi! Il tale, inoltre, guida come un assatanato il suo Pick-Up. “Devo", più volte, mettere alla frusta il nostro furgoncino: buca, buca con acqua, buca con acqua e fango ... ed infine si arriva. Scendere dalla macchina è come precipitare in un altoforno: la faccenda si prospetta impegnativa!
Faccio un pò di rilievi - il meno pasticciati che mi riesce ma pur sempre a mano libera - e cerco di comprendere l'orografia della zona mentre il caldo e l'umidità continuano a salire, non c'è una bava di vento. Pranziamo insieme ai locali sotto una tettoia "sgarrupata", tra i commensali parecchi impudenti pulcini che non esitano - la fame fa fare di tutto - a saltare sul tavolo per rubacchiare qualcosa.
Grossi nuvoloni neri si affacciano lontani all'orizzonte e, ad un certo punto della giornata, saremo aspersi una delle migliori piogge tropicali che io ricordi.
Dopo pranzo decidiamo, comunque, di concederci una breve esplorazione "ittiocatturatoria": con il minimo dell'equipaggiamento minimo partiamo al seguito di un locale armato di un machete che fa paura. Il terreno, quasi da subito, si dimostra scosceso e di difficile praticabilità (eufemismo), in alcune parti la muraglia verde è così fitta da essere praticamente impenetrabile. Ci sono molti acquitrini sparsi in giro che si dimostrano ottimi "erogatori" di zanzare, comunque andando avanti incontriamo degli angoli interessanti!i
In uno di questi (sorta di ruscello con profondità dell'acqua di, forse, tre cm) faccio qualche modesta acchiappanza devo interrompermi subito, Stefania "non segue": ha le vertigini, è rossa in viso e suda freddo, nel calore opprimente del primo pomeriggio si siede in preda ad una forte tachicardia. Mi guardo intorno: siamo nel mezzo del nulla sotto un sole dardeggiante ed ai piedi di una ripida salita, mica da ridere! In qualche modo rientriamo alla base, carichiamo le nostre cose e rientriamo.
Sulla via del ritorno, stessa pista, il nostro amico decide di imbarcare nel cassone del Pick-Up alcuni locali con bagagli. In realtà sono "la metà di mille" e stracarichi di salmerie, il pur massiccio veicolo quasi scompare sotto la mole, ed il peso, dei nuovi occupanti e relativi averi ma riparte gagliardo. Affronta, infine, una salitona ed un bambino, uno i quelli accomodati nel modo più precario, ruzzola fuori rovinosamente. Sul Pick-Up nessuno muove un dito o profferisce verbo, il guidatore, ovviamente all'oscuro di tutto, prosegue a balzelloni sulla pista sconnessa …
Ci fermiamo noi che seguiamo: Stefania scende - Il bimbo (perché di questo si tratta) è bello frullato! - lo aiuta a lavarsi e lo disinfetta, per fortuna ha solo delle escoriazioni. Dopo averlo rincuorato un minimo gli lasciamo po’ della nostra acqua (acqua fresca e pulita che qui è cosa preziosa) e partiamo a caccia della madre, stavolta ho un buon motivo per mettere sotto pressione il furgoncino (il nostro Pajero).
Quando - infine - la raggiungiamo e le spieghiamo quanto accaduto la "scellerata" inizia ad inveire verso di lui (che comunque è ancora fermo, da solo, lungo la pista) per la sua inettitudine ed i problemi che la stessa causerà: quel bimbo avrà dieci anni, in Africa si cresce molto, ma molto, in fretta.
Arriviamo a casa, Stefania continua a non stare bene: dopo averla sistemata guardo nelle mie buste ... al bailamme sono sopravvissuti UN killy ed UN, credo, ciclide che tenterò di identificare (foto) in seguito. Ma oggi va bene così.
Francesco
PS: Credo che quello di cui Stefania ha sofferto sia stato un forte colpo di calore: a distanza di ventiquattrore ancora non ha ancora del tutto recuperato. Posso capirla, a me successe nel Deserto di Matehuala (Messico, andavamo "a cactus" con JMAA) e fu abbastanza dura.